Food design: come fare mobili di cioccolato con FormBox e stampa 3D (progetto per il Fuorisalone)

1. La statua maschile

L’idea ce l’avevo in testa dal 2011, quando ho visitato la famosa stanza di cioccolato disegnata da Karl Lagerlfeld e realizzata dal maitre chocolatier Patrick Roger per Magnum.

Erano anni che lo minacc promettevo, e alla fine l’ho fatto veramente: ho realizzato una stanza di design in scala Barbie tutta di cioccolato. Non mi sono sentita pronta per la grandezza naturale, ma, scala per scala, ho ritenuto di avere sufficiente esperienza con il mio avatar di plastica.

2. la statua femminile

Lo scopo, oltre la sfida era di realizzare un progetto per il workshop sul food design con la stampa 3D che ho tenuto sabato 13 aprile presso il Fab Lab Bovisa in occasione del Fuorisalone. Mi interessava esplorare le possibilità delle nuove tecnologie applicate al food.

E quale occasione migliore di questa?

Un po’ di dettagli tecnici

La realizzazione è stata lunga, ma non complessa. In pratica, di ogni pezzo bisogna ricostruire in qualche modo il positivo, creare lo stampo, assemblare e decorare.

3. lo specchio

Quasi ogni pezzo è stato realizzato con una tecnica diversa. Qui di seguito un piccolo riassunto:

1-2. Gli stampi delle statue sono ricavate da stampe3D. Ho poi ritoccato a mano le forme di cioccolato ottenute con cioccolato fuso e polvere edibile bronzo per dare un effetto anticato.

3. Lo specchio è la copia di un piccolo specchio esistente da cui ho ricavato lo stampo. Una volta colato e asciugato il cioccolato, l’ho colorato con polvere oro e argento edibile la prima per la cornice, la seconda per lo specchio.

4. il tavolo

4. La forma del ripiano del tavolo e intagliata in un materiale molto plastico che poi mi è servita per ritagliare lo stampo. Indovinate un po? La polenta! Lo volevo un po’ irregolare e molto materico, cercavo un effetto industrial-vintage e mi pare e sono soddisfatta. Per la base ho usato una serie di oggetti triangolari che sono serviti anche per lo sgabello.

5. la lampada spenta…
…e la lampada accesa

5. La lampada, infine, è stato un puro divertissement. Il paralume è di caramello, colato in uno stampo di silicone, lo stelo è di biscotti ricoperti di cioccolato tipo mikado, la base di cioccolato fuso e colato in uno stampo. L’unica cosa non edibile sono le lucine led all’interno. Sì, perché la lampada è realmente funzionante, e la cosa mi diverte molto. Lo dico sempre che mi si fa felice con poco 😀

E gli stampi?

Creare gli stampi per colare le forme può diventare un processo un po’ noioso e complicato. Di solito uso il silicone, ma a questo giro ho testato la termoformatrice Mayku, conparecchia soddisfazione.

Va detto che l’ho potuto fare perché ho lavorato il cioccolato: con un po’ di accortezza sono riuscita a realizzare velocemente degli ottimi stampi (col silicone non succede: richiede parecchio tempo prima che asciughi), ma la temperatura che reggono (mi pare al max 50°), per esempio, non permette di usare il caramello (160°). E infatti il paralume l’ho colato in uno stampo di silicone completamente differente.

Appena monto il video del workshop, lo aggiungo a questo post. Un piccolo assaggio, molto casalingo, si trova già qui.

Food Design | Gioielli di zucchero

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Tutta colpa del progetto di food art Love Letters 4 Xmas.

Con la ricerca che ho fatto in quel periodo, ho finito per innamorarmi dello zucchero. della sua texture, dei suoi colori, di come prende la luce, e insomma, mi è venuta voglia di giocarci un po’.

Il progetto Gioielli di zucchero è nato così: per puro desiderio di sperimentare, ed è tutt’ora un work in progress, che conto di portarmi avanti ancora per un po’.

Vedremo dove arriverà.

Curioso, in tutto questo, che a me i dolci piacciano molto poco, e lo zucchero da solo per niente.

Eppure sui dolci ci ho scritto un romanzo e continuo ad amarne la resa fotografica sopra ogni cosa. Ma visto l’impatto dei glucidi sulla fisiologia umana, direi che questa mia indifferenza è davvero una manna 🙂

Il progetto continua su Instagram.

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food art 2

 

 

 

 

 

Food design | Love Letters 4 Xmas: tutto il progetto

Da tempo ho voglia di sperimentare sulla food art. Usare il cibo non solo per preparare ricette, ma anche per evocare mondi solitamente lontani dalla cucina, almeno in apparenza. Farci cose belle, come faccio da parecchio con il food styling, ma tipo molto di più.

Questo, e il mio sempiterno amore per la parola scritta, anche se dalla frase precedente non si direbbe.

Dalla fusione di questi due elementi è nato il desiderio di rendere commestibili le parole. O meglio, sin da quando ero bambina penso che le parole abbiano un colore, una consistenza, un sapore. Che poi, del colore, lo dice anche Rimbaud in Voyelles, Vocali.

A noir, E blanc, I rouge, U vert, O bleu, voyelles,
Je dirai quelque jour vos naissances latentes.

(A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali,
Io dirò un giorno delle vostre nascite latenti.)

Non sono d’accordo sulle sue scelte cromatiche (vedete anche voi che la A è rossa e la E è verde, vero?), ma il principio è identico. Del resto stiamo parlando di sinestesia, non di una scienza esatta.

Comunque, dicevo, per me, scrivere è, certo, creare bilanciamenti di senso, ma anche di colore, di sapore, di consistenza, benché immaginari. Mettermi a creare delle parole edibili era solo questione di tempo, a pensarci bene.

Il momento propizio è poi arrivato all’inizio di dicembre: ho invitato, piuttosto istintivamente, 10 persone che mi sono sembrate in sintonia con il progetto, a darmi una frase da interpretare. Vincoli: massimo 38 lettere (dal giorno dell’inizio + quello della fine, 13+25 dicembre, sino a Natale) e che fossero delle Love Letters, cioè un messaggio positivo. Io mi son tenuto apertura e chiusura.

E insomma, tra lo stupore per le adesioni entusiaste, l’emozione di avere in affido parole così belle, il regalo di una manciata di giornate di sole invernale, la meraviglia per quello che stava venendo fuori, ho avuto la scusa per sperimentare con materie, forme e colori edibili e di parlare di argomenti piacevolmente insoliti (il sacro, la poesia, la gratitudine), rischiando più volte, io che lavoro sempre per sottrazione, di diventare logorroica.

Qui sotto riporto il progetto intero con tutte i testi che ho pubblicato su facebook.

Grazie a tutti. È stato bellissimo.

grazieb

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[Love Letters 4 Xmas – 1/12]

Metto le mani avanti: non è la migliore, ma è un inizio doveroso. La frase ce la metto io: “We must risk delight.”, “Dobbiamo rischiare la meraviglia (o il piacere, o la delizia).”

L’autore è Jack Gilbert, citato da Elisabeth Gilbert in Big Magic, un libro che, per chi si è mai fatto domande sulla creatività, è la boccata di ossigeno di quando riemergi da un tuffo sott’acqua.

“Rischiare la meraviglia”. Ecco, alla fine, questo è un po’ il senso di tutte le cose senza senso apparente.

[frase su frolla con pasta di zucchero e polvere d’oro edibile]
1-12b

[Love Letters 4 Xmas – 2/12]

La frase di oggi la devo a Barbara Sgarzi: “Love loves to love love” (L’amore ama amare l’amore) viene dall’Ulisse di Joyce – e già sappiamo che non può essere una frase innocua, né tantomeno sdolcinata.

È ispirata, ma anche ironicamente inserita in un capitolo sulll’odio; è musicale, ma attraverso la ripetizione di una parola già sentita mille volte; è prosa, ma miracolosamente acquista una qualità melica, e diventa verso.

Conta certo, la materia di partenza. Ma conta molto di più quello che ne fai.

[leccalecca di zucchero con zuccherini e scaglie di oro edibile]
2-12b

[3/12 Love letters for Xmas]

la frase di oggi mi è stata suggerita da Cristiano ZioBurp, e, da musico, pesca molto appropriatamente dal titolo di una canzone: “If you love somebody, set them free” (Se ami qualcuno, lascialo libero) di Sting.

Anche questa è una frase solo apparentemente facile.
Molti amano ricordare che se appena due anni prima cantava “Every breath you take (I’ll be watching you etc.)” assieme ai Police, con questa canzone Sting ha decisamente cambiato, ehm, musica. I molti di cui sopra ne lodano altresì la saggezza, a meno che non stiano scrivendo un articolo sul Tantra, e allora ne lodano altre prerogative.

Ma non distraiamoci. Che lasciar libere le persone che ami sia un’atto d’amore, capovolge secoli di “Io-che-non-vivo-più-di-un’ora-senza-te”, va contro il senso comune anche oggi, 30 anni dopo. Forse, però, un ex frontman appena divenuto solista non intende una canzone sulla libertà solo in senso amoroso. Ci sono infinite libertà da dare e da chiedere: la libertà di lasciare impegni, lavori, band in cui non ti riconosci più; la libertà di avere opinioni diverse; la libertà di fare scelte in cui credi solo tu. Vale per il partner, vale per i figli, vale per i colleghi di lavoro, ma anche per noi stessi: la libertà di diventare ciò che siamo, come diceva Nietszche.

E ora, un po’ di cioccolato.
[tavoletta di cioccolato con lettere di brisè e glitter edibile]
3-12b

[4/12 – Love Letters 4 Xmas]

La frase di oggi me l’ha data Nina Gigante: è “Defend your sacred” (difendi ciò che è sacro per te) ed è ispirata direttamente dal movimento di Standing Rock per proteggere le terre sacre Sioux dall’oleodotto Dakota Access.

“Difendi ciò che è sacro” significa una cosa diversa per ogni persona che legge. Ma forse la vera domanda è “Che cosa è il sacro, per te?” Le verità tramandate, i luoghi che ti rimandano all’infanzia, le cose che si ripetono da secoli? Oppure La bellezza, il silenzio, la pace, lo spirito, l’armonia? Dove si trova, questo sacro? E poi: come si difende?

Per me il sacro è un mandala da (ri)costruire granello di sabbia per granello di sabbia, semino per semino. Non ci è dato molto più di questo. Ma a volte, all’improvviso, comincia ad intravvedersi un qualche disegno.

[mandala di frutta con biscotto di farro, polvere d’oro e pimento]
4-12b

[5/12 – Love Letters 4 Xmas]

La frase di oggi è un regalo di Elisabetta Artemisia Ferrari: “Da ora in poi. Il tuo futuro inizia adesso.” È una frase che proviene da un testo buddista, di cui ha perso traccia (anzi, se qualcuno ne conosce la fonte, sarebbe bellissimo scoprirlo così).

Non ci ho pensato molto: nell’istante ho letto questa frase, ho deciso che il suo tema sarebbe stato il cerchio.
Strano, o forse no: il cerchio è un simbolo denso di significati, esattamente come questa frase.
Che sottende infinite possibilità in potenza in ogni istante. Sottende l’ipotesi impertinente che esitiamo solo nel presente, il passato non c’è più, il futuro non ancora, se non nella nostra testa. Sottende persino che siamo liberi e possiamo reinventarci ad ogni istante. E le sottende tutte assieme, perché in fondo sono l’una conseguenza dell’altra, come i punti di un cerchio, di una O, di un bracciale.

Secondo la tradizione zen, solo chi ha la giusta concentrazione può tracciare un cerchio perfetto con una sola pennellata. Mi piace pensare che non sia un caso.

[bracciali di zucchero con letterine e polvere d’oro su mattonella di sale]
5-12b

[6/12 – Love Letters 4 Xmas]

La frase di oggi è di Christian Zoltar Bellomo, ed è anche la prima frase che non è una citazione, ma un saggio consiglio zoltariano: “Non dimenticarti di giocare.”

Ovvero: ricordati di lasciare uno spazio per tutto quello che ti entusiasma, o ti fa sorridere da sol* al ripensarci, che ti fa sentire caric* di energie e assurdamente felice, senza nessun motivo apparente.

Che senso hanno i giochi di ruolo, disseminare dinosauri in posti improbabili, vestirsi come in un altra galassia e fingere di essere il personaggio di un fumetto o di un film?

Riscoprire il lato bambino, dicono.
E se invece fosse il lasciare spazio, da adulti senzienti, a quella parte creativa e un po’ folle che per sbaglio abbiamo creduto giusto archiviare in un posto dove non facessero disordine, assieme ai ricordi d’infanzia e agli album fotografici? Se invece quella parte lì non fosse per nulla una parte bambina, ma semplicemente una parte umana?

Disclaimer: la barbie mi suggerisce di aggiungere che sono leggermente di parte.

[biscottini di frolla con pasta di zucchero e lettere di cioccolato]
6-12b

[7/12 – Love Letters 4 Xmas]

La frase di oggi è per Mafe De Baggis: è di E. E. Cummings e viene dalla sua introduzione ai Collected Poems: “Every answer asks a more beautiful question (ogni risposta fa una domanda ancora più bella)”. Oggi è un esperimento nell’esperimento: non solo ho interpretato la sua frase, ma l’ho anche scelta per lei. È una doppia sorpresa, insomma.

Stranamente intelleggibile per Cummings, sperimentale e poco ortodosso, questa frase è provocatoria solo nel paradosso apparente che ostenta. Insomma, ‘ste risposte! Non dovrebbero starsene zitte e buone, dopo che hanno assolto al compito di mettere a tacere la domande?

No, sembrebbe.
Le risposte migliori sono quelle che pongono altre domande, dice Cummings. Si riferisce alla poesia, lui, ma io credo che si possa estendere ad ogni assembramento di parole capace di instillare dubbi, aprire brecce negli steccati, scassinare nozioni preconfezionate: saperne di più.

Una mente viva si nutre di domande, anzi pregusta, quasi, i corridoi, i sotterranei, gli interi piani che un punto interrogativo può aprire. Per qualcuno questa vastistà in agguato dietro ogni domanda è spaventosa; ma per chi ha fame di conoscenza no, questa cosa qui è pura meraviglia.

[libro di zucchero con lacci di liquirizia e letterine colorate edibili]

NB: per la cronaca, andando a memoria ho sbagliato la citazione orginale, che invece era: “the beautiful answer who asks a more beautiful question”. Eh.
7-12

[8/12 – Love Letters 4 Xmas]

La frase di oggi è per Petunia Ollister. È di Kerouac e viene da Desolation Angels: “So shut up. Live travel adventure bless & don’t be sorry (Quindi chiudi il becco. Vivi, viaggia, avventurati e non avere rimpianti)”.

Di solito si trova in giro solo la seconda parte della frase, tramonto sul mare sullo sfondo, stelline e font lezioso in pantone Radiant Orchid o Sea Breeze. Poco Kerouac, molto pinterest.

Invece noi lo “shut up” ce lo teniamo stretto. È una specie di pedata, la spinta prima di buttarsi, ché qui mica si vuole ispirare, semmai istigare. Alla libertà: quella da noi stessi, dalle nostre remore, da quel chicchericcio interiore che prevede sempre il peggio, che ti ripete che non puoi, non devi, non ce la farai.

Non che domani, alè, tutti a fare il giro del mondo in kayak senza strumentazione. Il viaggio con Kerouac (ma anche senza) è anche interiore, e avventurarsi, per qualcuno, potrebbe essere solo parlare al proprio vicino di posto sul tram.

Ma non è la solita storia che si debba uscire dalla propria area di confort e blablabla.
Questa è un’esortazione a rischiare – e a farlo con l’entusiasmo di chi sa che concedersi il permesso di “sbagliare” è concedersi un privilegio. Ecco perché poi, da questa prospettiva, non esistono errori, ma solo esperienze fatte, o meglio territori della vita in cui ti sei avventurat*.

[Frolla con pasta di zucchero, cacao in polvere e zucchero a velo]
8-12b
[9/12 – Love Letters 4 Xmas]

La frase di oggi è di Filippo Pretolani ed è tutta sua: “2 è un numero enorme.” Praticamente un koan.

Dicono che due siano le possibili strade davanti ad un paradosso:
a) ignorare qualsiasi stimolo al pensiero e sorriderne, come di una battuta;
b) prenderlo sul serio e accoglierne la provocazione.

Due può essere un numero enorme o piccolissimo, dipende da cosa sommi: amori, mandarini, fazzoletti di carta, sigarette, dolori. Non è detto che il conto sia abbordabile solo perché il numero è basso.

Dal koan zen in poi, il paradosso guarda alle cose con una certa amabile irriverenza, e per questo spesso scopre punti di vista inediti.

Dicono che due siano le possibili strade davanti ad un paradosso. Io dico che ce n’è una terza: prenderli sul serio con il sorriso sulle labbra.

[Torta al cioccolato, con lettere di cioccolato e codette di cioccolato]
9-12

[10/12 – Love Letters 4 Xmas]

La frase di oggi mi è stata suggerita da Roberta Ragona : “less attitude, more gratitude (meno , più gratitudine)”. Sul web, gode di una certa fama; tuttavia non sono riuscita a ricostruire un autore preciso: se sapete, colmo volentieri questa lacuna.

Dunque siam qui, in un freddo ma assolato pomeriggio invernale, a sorseggiare un Earl Grey con Lady Violet. Benevola dietro l’aria severa (ma giusta, aggiungerebbe qualcuno), ella ci ammannisce questo monito.

È in buona, quindi potrebbe aggiungere che la gratitudine è come i carciofi (poco british, lo so, ma l’alternativa era l’haggis o il black pudding – vedete voi): da piccoli non si capisce il motivo della loro esistenza, figurarsi perché i grandi se ne contendano l’ultima porzione a forchettate, mettendo a rischio relazioni e amicizie pluriennali.

Così è anche per la gratitudine. A un certo punto della tua vita, dopo aver accumulato esperienza e, presumibilmente, saggezza, cominci a renderti conto che nulla, nulla al mondo ti è dovuto, checché ti abbiano raccontato sinora. Nemmeno alzarti in piedi, nemmeno respirare, nulla di nulla.
E allora, my dear, cominci a capire l’importanza di questa cosa, perché ha senso – molto più di quanto abbia mai creduto – e ti azzardi titubante ad assaggiarla, e scopri che ha proprio un buon sapore.

[Frolle con marmellata e letterine edibili]
10-12b

[11/12 – Love Letters 4 Xmas]

La frase di oggi, la penultima della serie, me l’ha data Gioia Gottini: “Salta e la rete apparirà”. È citata ne “La via dell’artista” di Julia Cameron.

Quando l’ho letta ho pensato subito ad Alice. Questa frase me la sono immaginata suadente quanto il “bevimi” sulla bottiglia, il “mangiami” sul dolce.

Sarà perché è un imperativo che ha bisogno della stessa fiducia, della stessa curiosità. Sarà perché rischia in modo identico di farti trovare, spiazzat* nella tana del bianconiglio, in procinto di aprire mondi imprevedibili, inimmaginabili.

Apparirà davvero, questa rete? E ancora: è meglio calcolare il salto al millesimo o lanciarsi senza pensare come farebbe Alice?

Ci puoi pensare quanto vuoi, tanto c’è solo un modo per scoprirlo.

[Lettere di cioccolato con polvere d’argento edibile e chicchi di melagrana]
11-12b

[12/12 – Love Letters 4 Xmas]

Avevo pronta una foto molto diversa, per oggi. Poi ho visto la luce di questo pomeriggio e mi è tornato in mente quel verso di Leonard Cohen: “There’s a Crack in everything, that’s how the light gets in (C’è una crepa in ogni cosa: è così che entra la luce)” – all’improvviso non c’erano più alternative.

La perfezione formale, la ripetizione senza difetti sono i nostri classici cliché di bellezza. Eppure, a farci caso, si scopre che spesso è l’asimetria, il dettaglio apparentemente fuori posto, la nota fantasma, il nonsense (o supposto tale) che rende la composizione veramente interessante.

È la crepa che fa entrare la luce, l’oro che incolla i cocci, facendone una ciotola ancora più bella. È qualcosa che sfugge alle previsioni, che il buonsenso sconsiglia, che logica disapprova – qualcuno glielo dica, per favore, che non hanno sempre ragione loro.

Credo che gli opposti in un qualche punto si tocchino, che le cose sfuggano ai cliché e si intreccino in modi che rifuggono le semplificazioni. Quel punto lì è dove succedono le cose più interessanti.

Ma ora mi fermo, ché sto veramente diventando logorroica.
Grazie di cuore a tutti coloro che mi hanno seguito, incoraggiato, assecondato in questo progetto che, appunto, il buonsenso disapprovava totalmente. Disobbedirgli è stato bellissimo!

Buon Natale, Felice Yule, buon Solstizio, o qualunque modo in cui celebrate questo momento dell’anno, vi auguro tanti raggi di sole.

[omini lego di zucchero, carta edibile e scritta con pennarello per alimenti]
12-12b

Progetti di food design per The Friday Project

The Friday Project n°7 - Metamorphosis
The Friday Project n°7 – Metamorphosis

Da 4 numeri, e ormai un anno, sto collaborando con The Friday Project, brillante webzine dedicata alla creatività.

TFP is powered by una redazione di menti brillanti, e già questo basterebbe per voler loro molto bene. Invece mi lasciano pure una totale libertà creativa, di cui  approfitto impunemente, ça va sans dire.

Funziona così: ogni numero è dedicato a un tema specifico che ogni collaboratore reinterpreta a suo modo. Io mi occupo del Food Design.

The Friday Project n°6 - Waves
The Friday Project n°6 – Waves

Che cosa cambia rispetto al food styling, chiederete (o forse no, avendo giustamente di meglio da fare)?

La mia opinione è che il food styling sia esclusivamente al servizio della rappresentazione dell’idea platonica di un determinato piatto, a volte collocato in un piano narrativo più o meno definito: la pasta più appetitosa, la torta più desiderabile etc.

Nel food design si va un po’ oltre: la materia è totalmente asservita alla rappresentazionde di un’idea – quella del tema, in questo caso. Ne richiama graficamente la spinta dinamica; la evoca tramite le scelte materiche, di colore, di consistenze; la racconta metaforicamente, convogliandola, al tempo stesso, in un’espressione estetica bella ed emozionante. O così si spera.

Sono semplicemente due approcci diversi, con due obiettivi diversi. Nessuno è meglio o peggio dell’altro.

The Friday Project n°5 - Challenges
The Friday Project n°5 – Challenges

Il numero 7, appena uscito, è dedicato al tema della metamorfosi. Per questo ho pensato ad un drink che si modifica nelle mani di chi lo beve, in cui il processo di trasformazione è parte dell’esperienza: è preparazione, e spettacolo, e trasmutazione tutto in uno.

Il numero 6 è incentrato sul tema delle onde. Per questo ho giocato su un grafismo stilizzato: volevo evocarne la curva, senso e slancio dell’onda, richiamando, al tempo stesso, i colori, le trasparenze, la schiuma dell’acqua.

Il numero 5 è dedicato alle sfide. Ho costruito perciò una piccola macchina che crea il piatto seguendo una serie di processi meccanici. La sfida è comporlo, prima che riuscire  a mangiarlo.

The Friday Project n°4 - Opposites
The Friday Project n°4 – Opposites

Il numero 4 è incentrato sugli opposti. Per raccontarli, ho preparato dei cracker al carbone spolverati con polvere d’oro edibile. Il buio e la luce, il chiaro e lo scuro, la materia preziosa e quella umile.

A proposito: sì, è tutto commestibile, se ve lo state chiedendo.

Credits: foto di Laura Novara per The Friday Project