Appunti di psicologia dei forni (un altro inedito di Bob O’Fairy)

Questo è un post dedicato.

È per un’amica che ha raggiunto un traguardo coraggioso.

Quasi quanto Bob O’Fairy.

Oltre all’ardito pamphlet sulla psicologia delle masse al buffet, infatti, per tutta la sua breve carriera, O’Fairy si è dedicato a studiare argomenti scomodi.

Ha scandagliato senza paura i fondali più oscuri dell’animo umano.

Ha indagato argomenti scottanti, che intimoriscono ancora oggi i più brillanti psicoterapeuti contemporanei.

Argomenti come la psicologia dei forni.

Fervente ammiratore di Freud, Bob si manteneva agli studi di psicologia lavorando alla caffetteria chiamata confidenzialmente Donau, (abbreviazione di Donaudampfschiffahrtsgesellschaftskapitän), proprio davanti alla clinica del Maestro.

O’Fairy assisteva spesso il mastro pasticciere Wolfgang Schwarzwald, creatore tra l’altro della celeberrima torta, nell’ingrato compito di manovrare i forni.

Fu allora che Il giovane Bob abbozzò le prime pagine della sua primissima opera, gli Appunti di psicologia dei forni.

Da quella esperienza, infatti, Bob era giunto alla conclusione che i forni soffrono di diverse nevrosi proprio come gli uomini.

Secondo i suoi studi, i forni nevrotici si dividono in 4 gruppi:

1) I forni con nevrosi isterica

Questi forni sono caratterizzati da una dissonanza cognitiva tra la manopola della temperatura e il reale riscaldamento interno del forno, che quest’ultimo decide inconsciamente in base alle pulsioni dell’Es o ad altre forze inintelligibili, note solo al subconscio del forno medesimo.

Terapia: in questi casi, O’Fairy ha teorizzato l’efficacia del dialogo maieiutico, specie se accompagnato da qualche calcione laterale.

2) I forni con nevrosi depressiva

Senza nessuna fiducia nel futuro e nella vita, questi forni investono inconsciamente tutto il loro potenziale esclusivamente sul loro grill inferiore, che li tiene simbolicamente vicino alla terra, facendoli sentire sicuri e protetti. Allo stesso tempo però, l’impossibilità di cuocere alcunché che non sia bruciato sotto e crudo sopra, continua ad alimentare il complesso di inferiorità che è alla base della nevrosi.

Terapia: anticipando le teorie comportamentali, O’Fairy, suggerisce di cuocere normalmente una pietanza per metà tempo, quindi rovesciare il forno e continuare la cottura per il resto del tempo. Con questo approccio il forno dovrebbe acquisire pian piano la consapevolezza delle proprie potenzialità, riprendendo fiducia in se stesso. Che al limite si può aiutare con qualche calcione laterale.

3) I forni con nevrosi ansiosa

Un’ansia divoratrice mina alla base le loro capacità. Sentendosi incapaci di scaldare un intero forno, tendono ad investire solo su una metà, di solito quella sinistra, collegata alle emozioni e alla creatività, mentre l’altra, depotenziata, resta a temperature di molto inferiori, con un conseguente squilibrio ansiogeno e la rovina sicura di qualsiasi pietanza.

Terapia: vista la condizione delicata di questo tipo di nevrosi, O’Fairy suggerisce di eliminare qualsiasi perdita di tempo e passare direttamente ai calcioni laterali. Da ambo le parti.

4) I forni con nevrosi fobica ansioso-depressiva.

Questo gruppo era stata teorizzato inizialmente da O’Fairy, studiando il caso del forno Helga, acquistato di seconda mano. Egli aveva ipotizzato un maltrattamento nell’età infantile, probabilmente per cuocere ceramiche o pasta di sale, che aveva reso il forno incapace di distinguere adeguatamente tra il caldo e il freddo e cuocere alcunché a temperatura stabile.

Terapia: A metà del brillante saggio O’Fairy si accorse che il libretto di istruzioni in svedese aveva anche una traduzione in tedesco e scoprì infine come usarlo correttamente.

Questo splendido saggio, tuttavia, sarebbe rimasto solo una serie di scarabocchi dietro ad un tovagliolino se un bel giorno Freud non fosse capitato in caffetteria proprio durante il suo turno.

Con un pretesto e una fetta di torta più generosa del solito, Bob si sedette al suo tavolo e gli spiegò lungamente e in dettaglio la sua teoria.

Quattro ore dopo, mentre si avviava alla conclusione, Bob fu licenziato dalla caffetteria e accolto tra i discepoli del buon Sigmund, che aveva apprezzato molto il suo spirito d’osservazione, la sua intraprendenza e le 3 ciliegine extra sulla sua fetta.

Credits: portrait of Bob O’Fairy (Courtesy of Ulmer O’Fairy Museum)

La crudele lotta all’ultimo free drink. Appunti di psicologia delle masse al buffet.

È ricominciato il Salone del Mobile, e, come ogni volta, mi torna in mente un breve studio di uno degli allievi meno conosciuti di Freud, l’ingiustamente sottovalutato Bob O’Fairy. Attivo per un breve ma fruttoso lasso di tempo, O’Fairy lasciò poi la psicanalisi per dedicarsi all’allevamento di tonni, con la discutibile scusa che questi non sviluppavano alcun tipo di transfert.

L’ottimo O’Fairy ebbe l’idea del famoso studio durante la presentazione di Psicopatologia della vita quotidiana del suo maestro Sigmund Freud. Egli si accorse che, lungi dal prestare attenzione alla spiegazione del testo epocale, la gran parte degli astanti si accalcava al buffet della Sachertorte, spintonando e schiamazzando, tanto da arrecare disturbo ai lavori.

Pare addirittura che un esagitato, al momento delle domande, abbia chiesto polemicamente a Freud se il fatto di non aver ricevuto panna assieme alla sua porzione di Sacher, non avrebbe ingenerato in lui una sorta di nevrosi ansiosa da panna ogni qual volta avesse visto una torta al cioccolato.

Non è nota la risposta di Freud, ma si mormora che abbia fatto cenno a due dei suoi allievi più robusti di picchiarlo all’uscita.

La Psicologia delle masse al buffet di O’Fairy, parte dall’assunto che il cibo in grosse quantità riporti alla luce le pulsioni inconsce all’accumulo, pulsioni legate alla fase orale dello sviluppo, in cui il bambino si percepisce ancora come il centro del mondo.

Allo stesso modo, nella folla si attuerebbe una sorta di regressione collettiva in cui la massa diventa un’unico bambino gigante nel pieno sia della fase orale che dell’ora di pranzo, divendo così una creatura difficilmente arginabile, se non a suon di scapellotti.

Inoltre, poiché il bambino-massa si percepisce come una creatura singola, registra l’intero ammontare del cibo a disposizione come destinato a lui.

Al tempo stesso, però, percepisce a livello inconscio tutti i singoli componenti: ogni qualvolta qualcuno usufruisce di una singola porzione vive contemporamente il lutto per la perdita di una parte negata a lui e il lutto per la rottura dell’unità bambino-massa.

L’illuminante pamphlet, getta luce sugli oscuri meandri dell’inconscio e sulle pulsioni oscure che solo un tramezzino gratuito o un’assaggio di mousse sanno risvegliare in noi.

Avendo assistito a un qualsiasi aperitivo di presentazione, showcooking o degustazione gratuita, non si può che concordare con la teoria di O’Fairy.

Anzi, viene da chiedersi a quali vette i suoi studi sarebbero potuti arrivare, se non si fosse dato all’ittica.

Tuttavia, ci piace immaginarlo ancora lì, beato tra i suoi tonni, lontano dalla crudele lotta all’ultimo free drink.