Sushi dallo spazio profondo

A volte la multiformità della creato si esprime in forme e luoghi inaspettati.

Nel mezzo del tuo piatto, per esempio.

Mi trovavo qualche giorno fa in giro per la Catalogna, quando, colta dalla mia solita crisi di astinenza da sushi, mi sono infilata in un sushi bar con tendenze fusion.

E qui si può già vedere come il vizio porti su strade pericolose.

In breve, nel piatto di sushi misto, dopo aver spazzolato i maki e il sashimi, la mia coscienza è stata presto costretta a prendere atto di un nigiri inquietante per forma e colore, sino ad allora freudianamente rimosso.

Sopra la polpettina di riso, stava beatamente disteso un pezzo di qualcosa che la logica imponeva esser pesce, ma che in verità ricordava molto di più un’orecchia di mr. Spock in preda a violenta infiammazione.

Ora, con tutta la stima che provo per mr. Spock, mi pareva brutto banchettare con le sue orecchie, o, peggio, quelle di suo nipote.

E tuttavia, la mia parte razionale aveva un argomento abbastanza inattacabile nel sostenere che mr. Spock non fosse mai esistito.

La sobillatrice sostenava anche che, trattandosi di pesce, quel sushi doveva essere buono e che sarebbe stato sciocco lasciarlo lì, oltre che discriminatorio nei confronti della popolazione di Vulcano.

Convinta da cotanta argomentazione mi sono decisa ad assaggiarlo.

Effettivamente, distogliendo la mente da forma, colore e associazioni cinematografiche, non era male.

Un semplice sapore di calamaretto, anche un po’ gommoso.

Una breve meditazione su che parte del pesce fosse (orecchia? pinna? squama carnosa? ali?) ha prodotto una serie di idee  più adatte ad un libro di fantascienza che ad uno di cucina.

Come se non bastasse, all’uscita ho notato un vassoio pieno di queste amene conformazioni commestibili, che oltre a lasciarmi una curiosa senzazione di surrealismo gastronomico, mi ha simpaticamente confuso le idee.

I guai sono arrivati dopo.

Quando la mente, ripresasi dalla fatica di convincermi ad assaggiare la pietanza, è entrata nella modalità ‘tassonomia‘ e ha preteso di attaccare una bella etichetta sotto alla foto del piatto.

A nulla è valso il ritorno al ristorante (sempre chiuso al mio passaggio), né l‘esegesi del menù quadrilingue, sperando che il piatto del giorno di quel giorno fosse anche parte del menù.

A nulla sono valse le ricerche su internet, le investigazioni in tutti i sushi bar di Barcellona sperando in una copia del loro cugino catalano.

Niente.

Buio.

Zero.

Curiosamente, le orecchie del buon vecchio Spock è ancora l‘ipotesi più plausibile.

[To be continued]

2 risposte a “Sushi dallo spazio profondo”

  1. Anonymous

    Oggi ho mangiato un kebab.
    Non mi ha fatto impazzire, però.

    U2

  2. Roberta

    Ah, saperlo!

    Ti avrei portato un’orecchia come souvenir 🙂

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