Come direbbe Groucho Marx, ci sono delle canzoni così belle che sarebbero molto più belle se fossero completamente diverse.
È il caso di questo pezzo, che anche dalla generazione di parole a caso ascende comunque a una maggiore pregnanza.
Quello che le fionde non ducono
Ci fanno villania certe lettere d’amore,
Le viole che restano con noi.
E non sbagliamo, via!
Ma nascondiamo del sudore
Che sfrigola, lo sentiremo poi.
Abbiamo troppa aritmia, e se diciamo una bugia
È una mancata fissità che prima o poi succederà
Cambi accento ma noi no
E se ci ispiriamo un po’
È per la voglia di forziere di chi c’è già o potrà arrivare a stare con noi
RIT.
Chiamo così:
È difficile arcuare
Certe giornate chiare, lascia stare,
Tanto ci potrai scaldare qui
Con le nostre botti bianche
Ma non saremo panche neanche quando
Ti diremo ancora un altro: “Oui!”
In fretta vanno via della parate senza fine
Silenzio, che ampollosità!
E lasciano una scia le frasi parigine
Che tornano, ma chi le invocherà?
E dalle nacchere per noi
I conoscenti dei toyboy
Ma non li ascoltiamo più
Se c’è chi non li fa a cucù.
Cambi armento ma noi no,
E se ci sbevazziamo un po’
È per la voglia di bandire chi non riesce più a zirlare
Ancora con noi
RIT.
Siamo così, fiaccamente raccontate
Sempre più strampalate,
abituate
Ma potrai incontrarci ancora qui
Nelle sere tempestose
Portaci delle pose
Ampollose
E ti diremo ancora un altro: “Ni.”
È difficile sedare
Certe giornate a errare, lascia stare
Tanto ci potrai beccare qui
Con le nostre botti bianche
Ma non saremo zanche neanche quando
Ti diremo ancora un altro: “Gin?”
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