Barbie’s Bizarre Cooking Show. Il micro food styling e altre cose inessenziali

Si sa. Senza cibo si può resistere per circa un mese; senz’acqua, una decina di giorni; senza un tetto sulla testa, dipende dal clima del luogo in cui vivete; senza cellulare non lo sappiamo, perché nessuno ha ancora osato provarci.

Insomma, ci sono quelle robe lì che senza non puoi proprio sopravvivere, per quanto tu ci provi.

Poi ci sono le cose assolutamente inutili.

Tipo fare il cibo in scala Barbie, e farlo muovere con lo stop motion. Il micro food styling non è esattamente la cosa più fondamentale che esista.

Eppure è il progetto a cui ultimamente ho dedicato parecchio del mio tempo. Mi sono inventata Barbie’s Bizzare Cooking Show, una mini serie web casalinga, totalmente autoprodotta: 12 puntate, uno speciale, un trailer e pure un best of, per un centinaio di ore di lavoro, molte scoperte e un sacco di cose imparate.

È una serie web di video in stop motion, divertenti e un po’ surreali, in cui Barbie cerca di volta in volta di cucinare ricette anche complicate, disturbata immancabilmente da visite da universi paralleli, dal T-Rex sino a Batman, da Peppa Pig sino agli omini Lego.

Ed è nata da una necessità, che a un certo punto è diventata molto forte, di sperimentare con linguaggi diversi.

Quando ti trovi in testa una spinta creativa impellente ma senza senza nessuno scopo preciso, non hai molte scelte.

O lasci che scelga il cosiddetto buonsenso, ovvero quello che ti sembra che pensi la maggioranza delle persone – quindi sicuramente giusto – e ti censuri. Oppure segui il tuo impulso, scegli la fedeltà a te stesso, accetti la sfida.

La prima strada è rassicurante, ma ha quel lieve difetto che di lasciare un senso di insoddisfazione. La seconda è spiazzante: non sai dove ti porterà, per questo richiede fiducia, voglia di esplorare, il coraggio di mettersi in gioco.

Come ha detto Maslow, uno che sui bisogni umani si è interrogato parecchio:

A musician must make music, an artist must paint, a poet must write, if he is to be ultimately happy. What a man can be he must be. This need we may call self-actualisation.

In definitiva, un musicista deve suonare, un’artista deve dipingere, un poeta deve scrivere, se vuole essere felice. Ciò che un uomo può diventare, deve diventarlo. Questo bisogno possiamo chiamarlo autorealizzazione.

Quindi anche le cose che non servono, in realtà servono. Credo che in realtà serva tutto quello che ci lascia un po’ più felici di prima, un po’ più sorridenti, un po’ più meravigliati, anche da noi stessi. Specie da noi stessi.

Ma questo non può accadere se lasciamo che abbia la meglio quel buonsenso di cui sopra, che spesso è solo una delle tante maschere che prende il giudizio. Ed è una cosa con cui bisogna fare i conti con qualsiasi progetto creativo, non solo con questo che non è certo dei più sensati. Biosgna continuare a sperimentare e cercare senza paura di sbagliare. Il viaggio è la meta.

All’incirca come aveva detto Jobs.

E infatti, mentre rifletto sui prossimi sviluppi e faccio esperimenti su Instagram, resto sempre un po’ folle, e pure affamata, viste le porzioni scarse della bionda.

A’ Steve, nun me poi di’ che nun t’ho dato retta.

Credits: foto mia, da Instagram

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